san daniele del friuliGli scavi condotti nel 1984-85 e nel 1992 sulla sommità del colle, proprio nel cuore del centro storico di San Daniele, hanno consentito di gettare nuova luce sul passato della ridente cittadina friulana. Nonostante la limitata estensione della superficie oggetto di indagini archeologiche, l’area – attualmente occupata dal complesso monumentale formato dalla chiesa di San Daniele in Castello e dalla Villa Ticozzi de Concina con annesso parco – ha restituito una ricca sequenza stratigrafica, documentando una frequentazione o un’occupazione del sito a partire dal XI-X secolo a.C..
Nel corso delle campagne di scavo è stato possibile datare intorno all’età del bronzo finale le testimonianze più antiche di vita sul colle; più precisamente, il rinvenimento di alcune fosse di scarico colme di rifiuti domestici (frammenti ceramici e ossa di animali) sotto la pavimentazione della chiesa ha consentito di ipotizzare la presenza di un nucleo abitato riferibile a quest’orizzonte cronologico. Tra il vasellame recuperato ed in parte ricostruito figurano olle, scodelle ad orlo rientrante e vasi biconici, particolarmente frequenti nei contesti friulani e carsici tra la fine del Bronzo e la prima età del ferro; i resti ossei studiati rimandano alle attività di pastorizia e in misura minore all’allevamento di bovini e suini, che dovevano affiancare l’occupazione più importante, l’agricoltura. Altre informazioni desunte dall’analisi dei ritrovamenti osteologici confermano la pratica della caccia.
Sulla scorta dei dati fomiti da contesti insediativi indagati in maniera più approfondita – si vedano, a titolo esemplificativo, i castellieri di Pozzuolo del Friuli e Variano di Basiliano – si è orientati a supporre l’esistenza, anche in questo sito, di capanne con pareti supportate da un’intelaiatura lignea rivestita da rami intrecciati spalmati d’argilla impermeabile, di cui oggi non rimane purtroppo alcuna traccia.
Nella fase tardo protostorica, San Daniele si trovava in una zona considerata punto d’incontro tra la facies culturale generalmente ritenuta celtica e quella della pianura, ancora permeata da influssi veneti.
A queste conclusioni si è giunti a seguito del ritrovamento, sia pure in strati rimaneggiati della superficie scavata, di due bronzetti di tipo lagoliano raffiguranti guerrieri in assalto; simili manufatti, ben attestati nella Bassa friulana tra il VI ed il V a.C., sono intesi come offerte votive riconducibili all’ambito culturale paleoveneto e lasciano supporre la presenza di un santuario o luogo di culto.
Nel caso di San Daniele, nonostante gli stravolgimenti della stratigrafia dovuti agli interventi posteriori, l’orientamento è quello di considerare i due bronzetti inseriti in un piccolo contesto cultuale non escludendone l’attribuzione cronologica già alla fase della romanizzazione e valutandoli una “ripetizione meccanica di un vecchio schema iconografico paleoveneto ancora in auge.
A sostegno dell’ipotesi di un luogo di culto sul colle sembra venire anche da un interessante frammento di fibula zoomorfa in bronzo, conservato per parte dell’arco e la staffa; quest’ultima raffigura una testa di animale, forse un cavallo, soggetto spesso presente nella sintassi decorativa paleoveneta, ma anche centroeuropea e Adriatica. L’esemplare, piuttosto raro, risulta deformato all’estremità dell’arco: tale deformazione potrebbe essere spiegata come frattura rituale dell’oggetto, offerto ad una divinità e per questo non utilizzabile da altri. La fibula, datata nel V-IV secolo a.C., trova un puntuale confronto con un pezzo proveniente dalla necropoli dell’età del ferro di Magdalenska Gora.
Allo stesso periodo va ascritto il frammento di fibula tipo Certosa, di cui si conservano la molla a doppia spirale e la parte finale dell’arco, decorato da un globetto e due dischi laterali.

Le campagne di scavo hanno consentito di acquisire una discretil messe di informazioni relative all’occupazione del colle nel periodo romano: in particolare, è stato riportato alla luce un settore afferente ad un complesso edilizio, che all’abbandono dovette subire pesanti interventi di spoliazione, come si deduce dalla sostanziale mancanza di strati di crollo. L’edificio, di cui si erano conservati tre muri con lato aperto verso sud-est (giardino-cortile a cielo aperto?), viene inquadrato in un orizzonte cronologico che va dalla metà del I a.C. al IV d.C., con una concentrazione di reperti nel I secolo. Il rinvenimento di lacerti musivi e di frammenti di intonaco dipinto – perlopiù fondi uniformi sovradipinti con motivi a fasce; si segnala un unico frammento con decorazione a candelabra riferibile al III stile – inducono a supporre un discreto tenore di vita per gli abitanti del sito.
Per quanto concerne il vasellame, la presenza di coppe in ceramica cinerognola, caratterizzate dal tipico orlo “a mandorla”, rimanda ancora ad influssi veneti, quantunque la forma compaia dopo la metà del I a.C. perdurando sino in età augustea negli insediamenti friulani.
Tra i frammenti di coppe in Terra sigillata si annovera un esemplare affine alla forma Dragendorf, con decorazione a matrice.” Il fondo di una coppetta troncoconica tipo Ritterling, di produzione padana, riporta un bollo entro cartiglio rettangolare, incompleto ed illeggibile; la datazione va posta in epoca augustea sulla base della forma del cartiglio, caratteristica del periodo.
Due orli di anfore rinviano rispettivamente ai contenitori vinari, prodotti a partire dalla fine del I a.C. per una cinquantina di anni circa, ed al tipo “con collo ad imbuto”, impiegato per il trasporto dell’olio, di produzione adriatica (forse Istria e Piceno a giudicare dagli impasti). Questi contenitori sono diffusi tra la prima metà del I d.C. e la metà del II secolo.
Tra i manufatti in metallo si ricordano una fibula bronzea del tipo kraftig profilierte (ad arco fortemente profilato) largamente diffusa e collocabile entro il I secolo d.C., ed un anello con verga appiattita e castone privo di pietra.
In una fase cronologicamente più tarda – IV secolo – inizi V d.C. – è attestata anche la ceramica d’importazione africana, come dimostra la larga patera in terra sigillata. Allo stesso periodo rimandano alcune olle in rozza terracotta e ciotole.
Le emissioni monetali coprono un arco di tempo che va dalla metà del I a.C. al IV d.C.; discretamente conservati appaiono, in particolare, un quinario di Fulvia, un centennionale di Costantino. ed un antoniniano di Marco Aurelio Probo. La moneta più tarda risulta coniata al tempo di Flavio Eugenio (392-394d.C.)·
Notevole interesse, per una comprensione delle fasi ed i modi di utilizzo del sito, riveste una lampada restaurata in vetro verde-azzurro, di cui si conservano il corpo tronconico e le due piccole anse che ne consentivano la sospensione. La datazione è fissata intorno al V-metà VI d.C., ma il tipo è ben attestato anche nei depositi di VII secolo; gli studiosi ritengono che questo genere di lampade venisse utilizzato prevalentemente in ambienti di culto. Prodotte a partire dal periodo tardoantico, erano destinate ad illuminare dall’alto, sospese con semplici catenelle; andarono ad affiancarsi, e successivamente a sostituire, le lampade in ceramica.

Di fatto, gli indizi relativi ad un’occupazione antropica del sito archeologico sul colle diventano piuttosto labili per il periodo tra il V ed il VII d.C., al punto che siamo in grado di affermare soltanto che verso la fine di questo secolo, dopo una fase di abbandono delle strutture romane e di spoliazione e recupero del materiale edilizio, l’area venne occupata da individui (autoctoni?) che praticavano una modesta attività legata alla metallurgia e alla lavorazione del vetro – come si deduce dall’esistenza di un fornetto – ed il cui tenore di vita appare piuttosto misero.
Tra il vasellame comune di questa fase si conservano un catino-coperchio di grandi dimensioni, utilizzato per la cottura del pane tra le braci, ed una serie di olle di varie dimensioni e fogge.
Più ricca diventa la documentazione per il periodo carolingio (fine VIII-inizi IX secolo): le verifiche compiute hanno infatti evidenziato la presenza di un edificio di culto cristiano, che doveva far parte della fortificazione costruita in parte con i resti degli edifici precedenti. Delle decorazioni che abbellivano la cappella “carolingia” rimangono alcuni frammenti lapidei riconducibili ad un pluteo, caratterizzati dal motivo dell’intreccio trivimineo, tipico della sintassi decorativa di questo periodo. Si vedano, ad esempio, esemplari simili dalla chiesa di San Martino di Turrida di Sedegliano, San Marco e Sant’Andrea di Basiliano, San Martino di Rive d’Arcano e della Madonna della Tavella a Madrisio di Fagagna.
san daniele del friuliI dati storici e archeologici testimoniano come, verso la fine dell’VIII secolo, il primo nucleo abitativo sandanielese si fosse sviluppato a ridosso di un castello (originariamente definito “castrum“), posto sulla sommità della collina e contenente un edificio di culto (sorto sui resti di un santuario paleoveneto e di una villa romana). Chiesa poi trasformata nell’attuale “San Daniele in castello”.
In caso di necessità il “castrum” offriva rifugio agli abitanti dell’insediamento situato ad ovest della fortificazione: il nucleo abitativo che ruota attorno all’odierna Piazza Sini. L’accesso, sia all’abitato che al “castrum“, avveniva tramite dei sentieri: da sud, lungo il versante occidentale (dove si formerà via Umberto I) e da nord, tramite un percorso (ora via Andreuzzi) che, oltre l’attuale piazza Cattaneo, proseguiva in direzione del borgo detto Sotto Agaro. La traccia del limite occidentale di questo primo borgo è ancora leggibile nel moderno tessuto edilizio.

san daniele del friuli

La struttura cultuale venne successivamente ampliata in due momenti distinti a partire dall’XI secolo, quando il castello di San Daniele divenne proprietà patriarcale; in seguito ai ritrovamenti fatti è ragionevole supporre che in questo periodo si fosse registrato un aumento della popolazione castellana.
Nella pavimentazione dell’area presbiteriale e delle tre absidi della seconda fase si è potuto accertare il reimpiego, avvenuto presumibilmente intorno al XII-XIII secolo, di alcuni elementi in pietra: una lastra di soffitto, pertinente forse ad monumento sepolcrale piuttosto che ad un edificio monumentale, e due fronti di sarcofagi, rinvenute con il lato decorato rivolto verso il terreno. Della lastra, lacunosa e ricomposta da numerosi frammenti, fanno parte quattro cassettoni poco profondi, lavorati con differenti motivi floreali, che trovano confronti tanto con un esemplare conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, datato tra la fine del I a.C. e la prima metà del I d.C., quanto con un pezzo concordiese tardo repubblicano reimpiegato come base d’altare nella chiesa paleocristiana. I lati dei sarcofagi, entrambi del tipo “ad arcate”,” presentano una tabula decorata con cornice modanata che delimita lo specchio epigrafico, in un caso conservato solo in parte. Nel primo lastrone, di cui ci è pervenuto anche un fianco, manca parte dell’arcata destra e della porzione inferiore dello specchio epigrafico; i capitelli sono decorati con motivi vegetali. La superficie scrittoria risulta accuratamente preparata; le lettere sono incise a sezione tonda.

L’iscrizione funeraria, ben leggibile, riporta i nomi di Getacio Vincenzio e della moglie Turrania Giusta, appartenenti all’aristocrazia provinciale e verosimilmente proprietari di una villa suburbana nella zona di San Daniele:
GETACIVS VINCENTIVS
VIR CLARISSIMVS
ET TVRRANIA IVSTA
CLARISSIMA FEMINA
POSVERVNT
[SI]BI
Le caratteristiche del sarcofago, con riferimento all’onomastica e alla paleografia, inducono a collocarlo cronologicamente nel III secolo d.C.

Ad epoca posteriore – prima metà del IV d.C . – risale invece il secondo lastrone, sempre in calcare, oggetto di un parziale restauro e conservato solo per il settore sinistro. La superficie è piuttosto corrosa e lo specchio epigrafico risulta conservato solo per metà; !’impaginazione del testo è poco curata e !’incisione delle lettere sommaria:
[A]VRAVRELIANVS [—l
Aurelius Aurelianus et
MAXIMA CONIVG [—l
Maxima, coniuges pientissi=
MI ARCAM DE PROP[RIO SIBI FE]
mi arcam de proprio sibife=
CERVNT VT NVLLV [- –]
cerunt. Ut nullus post obitu=
M NOSTRVM IN [—l
m nostrum in hac sepoltu=
RA PONATVRAVT [—l
ra ponatur aut si quis violet
INFER AVRI P X [—l
iriferat auri pondo X [- – -]

Il sarcofago venne fatto costruire a proprie spese dai coniugi Aurelio Aureliano e (?) Massima (non ne conosciamo il gentilizio), che vollero apporre sull’iscrizione funeraria il divieto di utilizzare il monumento per sepolture successive alla loro, pena il pagamento di una multa. Il testo richiama le leges sepulcrales note a Iulia Concordia. A fronte della pratica piuttosto comune di riutilizzo della stessa sepoltura da parte di membri della famiglia o di estranei, i proprietari esprimevano il divieto a ciò sia con il pagamento di multe che con pesanti maledizioni. Dubbi sorgono in merito all’integrazione dell’ultima riga di testo; per alcuni studiosi tale multa avrebbe dovuto essere versata alla sancta ecclesia, presupponendo con ciò l’esistenza di una comunità cristiana insediata sul colle di San Daniele già nel IV secolo.Bo Di recente questa proposta di lettura è stata ridiscussa, soprattutto alla luce di confronti con numerose iscrizioni coeve di Concordia, nelle quali si prevede, come destinatario dell’ammenda da versare, il fisco. Anche per questa epigrafe non sembra azzardato ipotizzare la provenienza da un’area sepolcrale poco distante dal luogo del rinvenimento.

Fonte:
Il territorio di San Daniele in epoca romana : il punto sulle conoscenze, di Tiziana Cividini, in: San Denêl, vol. 1, p. 219-250, 2004

Nota importante:
Nell’ambito del centro storico (precisamente, nell’ex-Albergo Italia, in via Roma) è stata allestita recentemente una struttura espositiva dedicata alla valorizzazione dello sviluppo urbano di San Daniele. Cittadini, visitatori, turisti, potranno così comprendere e apprezzare le fasi di formazione dell’insediamento abitativo nel corso dei secoli.

Periodo Storico: Età Romana
Localizzazione Geografica
Visualizzazione delle schede relative a contesti archeologici visibili nell'arco di 5 km dalla località di partenza