monfalcone

Le profonde metamorfosi ambientali subite da questo comparto insediativo appaiono oggi particolarmente evidenti.
In età romana il mare risaliva le pendici dei colli monfalconesi, penetrava profondamente nella Baia di Val Catino e si spingeva fino alle foci del Timavo; un’isoletta rocciosa ed un antico sistema di cordoni litoranei separavano dal mare aperto questo bacino caratterizzato da acque miste.
Un mondo al crocevia tra roccia e sabbia, i cui limiti occidentali interagivano con le terre dominate dalle risorgive, ma il cui confine orientale era ed è rappresentato dall’imponente breve corso del Timavo.
Area sacra già in tempi preromani, come lascia desumere lo stratificarsi del mito in questo angolo di Adriatico, il fiume diede il suo nome allo specchio d’acque “adiacente al mare”, il Lacus Timavi di liviana memoria.
Oggi le aree industriali di Monfalcone e di Duino Aurisina hanno sostituito il mare intrappolato sotto costa dalle isole della Punta e di Sant’Antonio, ancora visibili nella cartografia dell’Ottocento, e la profonda baia della Val Catino, interrata negli anni ’50, ospita il borgo del Villaggio del Pescatore.
Solo l’imponenza delle foci del Timavo e la suggestione della chiesa di San Giovanni in Tuba rimangono a testimonianza di un mondo scomparso. E tuttavia, a chi raggiunge la costa dal mare pur nello scenario certamente diverso, non sfugge la straordinaria suggestione del luogo, fortemente caratterizzato dalla dicotomia laguna – scogliera: due elementi che qui, oggi come allora, si compenetrano e concorrono ad unire due mondi diversi, i bassi canali incuneati tra i prati e la roccia sospesa sul mare dai fondali profondi.
Ancora nel secolo scorso queste particolarità ambientali erano note per essere estremamente favorevoli all’allevamento ittico: si raccomandavano le aree dove “le acque marine ricevono quelle dolci di qualche fiumicino… oppure queste scaturiscono sotto il mare… punti suddivisi in molti canali, le valli divise dai marosi ed aventi imboccature strette, lagune comunicanti col mare…”, caratteristiche che facevano di Sistiana e del Golfo di Panzano due zone di produzione dell’ostrica e di altri molluschi.
Anche Carlo Marchesetti, eminente studioso e naturalista, sottolineava la presenza lungo il nostro litorale, Istria compresa, di autentiche peschiere naturali, dove l’acqua si racchiudeva in canali e “stagni” profondi, divisi dal mare aperto da sottili isolette, da strisce di terra.
Una descrizione che non può non richiamare le parole di Cassiodoro, il quale ci illumina sulle radici antiche di questa pratica di allevamento: “… ricco d’insenature nelle quali il mare, entrando, forma laghetti e stagni famosi per la quantità di crostacei e per l’abbondanza di pesci; litorale lungo il quale numerose si allineano le piscine dove, senza bisogno di particolare tecniche, nascono spontanee le ostriche…”.
Una labile traccia di una produzione volta in parte alla consumazione diretta, come appare evidente nel repertorio dell’asaraton oikos, può essere vista nelle ingenti quantità di resti malacologici rinvenuti in molti dei siti archeologici del Lacus Timavi, e si concretizza nella presenza di vasche a tenuta idraulica descritte dalla tradizione antiquaria. Non è infatti escluso che tale allevamento si rivolgesse anche al mercato tessile, per quanto una rigorosa revisione ha recentemente rivisto il numero delle fulloniche alto-adriatiche.
Ma il dominatore incontrastato dell’allevamento ittico resta il Lupus Labrax, il branzino che si nutre delle acque dolci e salate del Timavo e che proprio la dolcezza ed il biancore delle carni, come riporta Marziale, rendono degno di comparire nella lista dei doni conviviali.
L’ipotesi sullo smercio di questo prodotto anche su mercati lontani dall’area di origine, come lascerebbero presumere le parole del poeta, fino ad oggi poco accreditata, visto che senza refrigerazione il pesce sarebbe marcito lungo il tragitto, è stata recentemente rivista. Alcuni elementi riconducibili ad una pompa a risucchio infatti, rinvenuti sul relitto della Julia Felix, hanno fatto maturare l’ipotesi che a bordo vi fosse una vasca capace di contenere circa 200 kg di pescato, mantenuto vivo da un sistema di pompaggio in grado di garantire il ricambio dell’acqua ogni mezz’ora.

Vedi anche: Ledilizia residenziale tra Lacus Timavi e Grignano di Valentina Degrassi e Rita Auriemma, in “L’architettura privata ad Aquileia in età romana“, Antenor Quaderni 24, Università di Padova, 2011, pag. 7/8/9.

 

Periodo Storico: Età Romana
Localizzazione Geografica
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