L’isola di Montaron e i suoi dintorni appaiono come il sito più ricco e più interessante dell’intera laguna di Grado. L’isola si trova nei pressi della foce lagunare del fiume Natissa e si estende per circa 70.000 mq, ma l’area in cui sono stati rinvenuti i reperti è molto più limitata.
La zona, che in antico aveva sicuramente un carattere unitario anche se diversificato, può essere divisa in tre nuclei in base alla morfologia attuale: 1. isola vera e propria, con terreni coltivati a mais e vite; 2. valle da pesca; 3. barene e piana di marea che circondano l’isola sul lato nord-ovest.
La zona 1 occupa la parte centrale e orientale dell’isola: durante alcune ricognizioni dopo le arature si sono potute scorgere due aree, leggermente più alte del piano di campagna circostante, in cui affiorava materiale archeologico vario, soprattutto schegge litiche, agglomerati di malta e frammenti laterizi.
Lo stesso tipo di evidenze emergeva dai terreni coltivati a ovest, in prossimità della zona 2.
Nel resto dell’isola non si nota materiale affiorante a causa della fitta vegetazione che ricopre il suolo anche d’inverno. Va rilevato, però, che lungo il vialetto d’approdo e attorno all’edificio principale sono state sistemate, come elementi decorativi, diciassette urne cinerarie in pietra a base circolare e tre urne a base quadrata, due anfore Dressel 6A, due anfore del tipo Africana II, sette rocchi di colonna scanalati e dei blocchi da costruzione in pietra.
La zona 2, che occupa il settore nord-ovest dell’isola, è attualmente adibita a valle da pesca; non tutti i fossi però sono stati dragati nella stessa misura. Al centro della valletta è stata risparmiata un’altura che serve da appostamento per la caccia, ma anche tutt’intorno il terreno emerge dall’acqua, pur di poco e solo in particolari periodi. Qui sono visibili le tracce di un lungo muro, costituito da pietre squadrate giustapposte, ma ormai non più tenute unite dalla malta, che si possono seguire per 35 metri, attorno al quale si notano i resti di crollo, con materiale laterizio misto a frammenti ceramici e anforici. Nei pressi, coperto da un sottile strato di fango e alghe in decomposizione, è presente, per una superficie non inferiore a 10 mq, un pavimento in cubetti di cotto, anch’esso coperto da resti di crollo. Inoltre, sotto l’argine che delimita l’isola a ovest, è visibile per un tratto di circa 4 m, un altro muro, anch’esso mal conservato, con fondazioni in pietra e alzato in mattoni: tra il muro sotto l’argine e quello che attraversa la valle da pesca ve ne sono altri, disposti perpendicolarmente a quest’ultimo, che non affiorano dal fango, ma sono individuabili poiché camminandovi sopra non si sprofonda. Ai margini di quest’area, ma non in situ, è stata individuata una pietra d’ormeggio a foro passante quadrato verticale.
La zona 3 corrisponde all’area così descritta da De Grassi: “…all’altezza di Panigai, dalla foce fino al tratto ovest del Montaron, lungo la sponda destra, esiste una sponda murata, certamente un molo del tipo di quello del porto fluviale superstite di Aquileia”. Allo stato attuale, però, essa si presta ad un’esplorazione molto problematica, perché oltre ad essere localizzata al di fuori dell’isola, e quindi in un’area in cui si affonda nel fango anche fino a 70 cm, è quasi interamente ricoperta di ostriche che, con i loro gusci taglienti, complicano notevolmente l’indagine sul terreno.
Sono ancora visibili resti di muri in pietra: uno sull’isolotto a sud-ovest, orientato 30° nord-est, lungo 15 m e largo 60 cm, un altro sull’isolotto più settentrionale, nella parte a ovest, che si allinea perfettamente con l’ideale prolungamento della sponda del fiume Natissa (si tratta forse dei resti della sponda murata vista da De Grassi).
Appena affioranti dal fango si scorgono anche due blocchi squadrati in pietra con fori per grappe metalliche, il primo di forma approssimativamente cubica (cm 45 x 45 x 55), il secondo più irregolare. Nei pressi ci sono numerosi frammenti laterizi e di anfore, molti dei quali provengono dall’altro versante della stretta striscia di terra che fu innalzata artificialmente quando venne scavato un canale di accesso all’isola, ora colmatosi.
In tutta l’isola è stato possibile recuperare molto materiale ceramico, tra cui abbonda la ceramica comune; è presente anche la terra sigillata africana e la ceramica invetriata rinascimentale. Numerosi sono pure i frammenti di anfore, tra cui le forme Dressel 6B, Almagro 50, Africana I, Africana IIA e Africana III.
Sparsi nel boschetto ci sono alcuni elementi architettonici in pietra, di probabile destinazione funeraria, e alcuni sono conservati presso privati.
Sempre da questa zona proviene il materiale della tomba XIX della collezione Ritter. Sul ritrovamento non esistono dati di scavo, ma soltanto il documento che attesta l’entrata del corredo nella collezione del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia nel 1904, in cui è specificata la provenienza dal Canale delle Mee presso la casa Panigai. Il corredo è formato da alcuni oggetti in ambra per la toilette personale pubblicati da Maria Carina Calvi (Calvi 2005, p. VIII): una statuina con due putti/eroti in lotta (Calvi 1977, c. 94, fig. 1; Calvi 2005, p. 176, cat. 508, Tav. 128); una boccetta decorata da foglie d’acanto (Calvi 2005, p. 159, cat. 476, Tav. 109, fig. 1); un vasetto a forma di ghianda (Calvi 2005, p. 160, cat. 484, Tav. 112, fig. 1); una scatola con coperchio scorrevole (Calvi 2005, p. 162, cat. 492, Tav. 118, fig. 1); due orecchini; un anello con un disco d’ambra nel castone (Calvi 2005, p. 45, cat. 40, Tav. 6, fig. 1c); un anello a castone piatto (Calvi 2005, p. 43, cat. 25, Tav. 3, fig. 1a); ad essi si aggiunge un coltellino con manico in ambra (Calvi 2005, p. 182, cat. 528, Tav. 137, fig. 1). Per tali oggetti è stata proposta una datazione nell’ambito del I – II sec. d.C.
Inoltre, sempre nel Museo Archeologico Nazionale di Aquileia sono presenti altri materiali provenienti da Montaron: fibule, vetri, corniole, ambre e quattro monete di bronzo (due dell’imperatore Costantino e due di Gallieno). Sebbene non si conoscano i dati relativi al ritrovamento di questi reperti bisogna comunque osservare che essi si aggiungono ai numerosi altri ritrovamenti databili soprattutto al IV secolo d.C., quali le anfore africane (Africana I, Africana IIA, Africana III) e iberiche (Almagro 50).
Si segnalano anche alcuni reperti in vetro; tra la ceramica comune depurata si annoverano alcune anforette, brocche e bottiglie, mentre tra quella grezza sono presenti olle, pentole e coperchi.
L’isola di Montaron, come il complesso Groto-Gorgo-Villa Nova, sembra rivestire un ruolo di primaria importanza nella topografia antica del territorio meridionale di Aquileia. Si può ipotizzare che, oltre alla presenza di una serie di strutture destinate all’immagazzinamento e al commercio, vi fosse ubicata una parte degli impianti portuali intermedi tra il mare e il porto fluviale cittadino. Già De Grassi aveva ipotizzato una funzione collegata ai traffici fluviali, confermata dal ritrovamento della pietra di ormeggio, mentre allo stato attuale non sembrano trovare conferma le segnalazioni relative ai magazzini posti lungo il Natissa che, scorrendo a ovest di Montaron, andava a sfociare presso Morgo (“sponda murata”: cfr. De Grassi 1950, c. 22). In quest’area si intravvedono diverse creste di muri affioranti dei quali è difficile fornire una precisa interpretazione. Interessante appare l’ipotesi di E. Tortorici (1997, p. 320) di vedere in questo sito “i resti di una villa di produzione con annessa parte residenziale, situata su una collina (oggi isola di Montaron), in prossimità del fiume”; lo studioso, riferisce, che “all’estremo limite settentrionale dell’isola lavori recenti per l’apertura di un canale hanno portato alla luce una straordinaria quantità di frammenti ceramici, nuclei di calcestruzzo, tessere di mosaico, frammenti di pavimento in piastrelle quadrate di cotto ed in opera spicata, tegole e coppi”. Inoltre, la notevole presenza di urne cinerarie e i frammenti architettonici di alcuni monumenti funerari testimonia l’estendersi fino a quest’area della necropoli che sorgeva lungo la via che costeggiava l’attuale corso del Natissa fino in località Panigai.
Il sito sembra aver avuto una lunga occupazione, come testimoniano i materiali presenti in superficie, che coprono un esteso arco cronologico tra il I e il IV secolo d.C. Anche i rinvenimenti riferibili ad ambiti sepolcrali sono databili allo stesso periodo, dal I secolo d.C. (corredi in ambra) al IV secolo d.C. (monete di Gallieno e Costantino).

Bibliografia:
– Marocco R., Prima ricostruzione paleo-idrografica del territorio della bassa pianura friulano-isontina e della laguna di Grado nell’Olocene, in Gortania. Geologia, Paleontologia, Paletnologia., 2009, 31
– Gaddi D., Approdi nella laguna di Grado, in Antichità Altoadriatiche XLVI. Strutture portuali e rotte marittime nell’Adriatico di età romana, Atti della XXIX Settimana di Studi Aquileiesi (Aquileia, 20-23 maggio 1998), Trieste – Roma 2001
– Tortorici E., Archeologia subacquea e trasformazioni geomorfologiche del territorio: il caso della laguna di Grado, in Atti del Convegno Nazionale di Archeologia Subacquea (Anzio, 30-31 maggio e 1 giugno 1996), Bari 1997.

Fonte: https://patrimonioculturale.regione.fvg.it

Periodo Storico: Età Romana
Localizzazione Geografica
Visualizzazione delle schede relative a contesti archeologici visibili nell'arco di 5 km dalla località di partenza