Si tratta di una cavità di modeste dimensioni, a 520 metri di quota sull’altopiano di Pradis (Prealpi Carniche), incastonato quest’ultimo tra monti di 1200-1400 metri. Nel 2001 la piccola cavità attirò l’interesse degli archeologi dell’Università di Ferrara: venne realizzato un primo sondaggio stratigrafico che portò alla scoperta di selci scheggiate e che indusse ad aprire una trincea trasversale all’entrata della grotta, finché nell’estate 2005 si intraprese l’esplorazione di tutta la zona dell’atrio e furono scoperti i resti di un accampamento epigravettiano. Grazie alla concessione della Soprintendenza per i Beni archeologici del Friuli-Venezia Giulia e al supporto del Comune di Clauzetto e del Comitato culturale di Pradis, il Laboratorio di Ricerca archeologica dell’Università di Ferrara poté esplorare su un’estensione di 15 metri quadrati un livello di origine antropica (cioè con resti e materiali legati alla presenza dell’uomo) datato a 14.000 anni dal presente, bene conservato nella zona coperta dalla volta rocciosa.
La forma della cavità, la densa fessurazione della roccia, la presenza di crolli e la limitatezza dello spazio utilizzabile fanno ipotizzare che la zona dove i cacciatori paleolitici nei mesi estivi svolsero le loro attività (scheggiatura, macellazione, cottura delle carni, trattamento delle pelli ecc.) fosse limitata all’atrio della grotta. Nel livello archeologico non sono state rivelate tracce riconducibili ad un utilizzo della stessa area da parte degli animali durante l’inverno. Lo scavo ha portato alla luce resti di focolari, accumuli di ossa animali, carboni e oltre 2500 selci scheggiate, tra cui circa 300 armature di frecce; gli utensili si limitano a una trentina di grattatoi impiegati nella lavorazione delle pelli.
I resti archeozoologici, rispetto agli altri taxa identificati, riferibili a ungulati e carnivori, evidenziano una netta dominanza di marmotta (Marmota marmota) con individui di varia età. Sono state rilevate varie tracce d’intervento da parte dell’uomo su alcuni resti di marmotta e di ungulati. La larga prevalenza dei resti ossei di marmotta, solcati da strie di scarnificazione e alterati da combustione e calcinazione, suggeriscono che la caccia, attuata stagionalmente in un periodo compreso, presumibilmente tra luglio e gli inizi di ottobre, era preferenzialmente indirizzata a questa preda, dalla quale si ricavava la carne, la pelliccia ed un elevato contenuto in grasso.

La Grotta del Clusantin rappresenta un’importante testimonianza archeologica del progressivo ripopolamento dell’area Prealpina durante il Tardoglaciale (19-11.5 migliaia di anni fa), ad opera di gruppi di cacciatori-raccoglitori Epigravettiani. Il progressivo miglioramento climatico che si verifica a partire dall’Ultimo Massimo Glaciale, comporta infatti la graduale espansione dell’areale boschivo nei fondovalle e sugli altopiani a quote medio-basse. E’ in questo scenario che si colloca il ripopolamento umano delle fasce prealpine, la cui frequentazione stagionale era finalizzata allo sfruttamento dei nuovi bacini di caccia costituiti soprattutto da ungulati e marmotte.

Durante gli scavi archaeologici della Grotta del Clusantin sono stati rinvenuti oltre 27.000 reperti ossei provenienti dall’Unità stratigrafica 4 e correlate.
L’insieme dei resti faunistici è molto frammentario. La quasi totalità delle ossa presenta evidenze di attività di combustione mentre il rimanente riflette alterazioni dovute ad agenti post-deposizionali e dall’azione del gelo-disgelo.
L’animale più rappresentato è la marmotta (Marmota marmota) mentre si segnala la presenza della lepre (Lepus sp.), degli ungulati (Capra ibex, Rupicapra rupicapra, Cervus elaphus, Sus scrofa, Alces alces) e di alcuni carnivori (Mustela sp. cfr. Erminea, Canis lupus).
L’analisi archeozoologica ha messo in evidenza strie di macellazione su alcune porzioni di diafisi, appartenenti a mammiferi di grande e media taglia, e tre coni di percussione prodotti dalle attività di estrazione del midollo. Nelle ossa di marmotta le attività antropogeniche sono legate invece allo spellamento (strie di macellazione sulla mandibola e sulla parte diafisiaria di una clavicola) e alla
disarticolazione mentre sono assenti strie di asporto delle masse muscolari. La bassa percentuale di omeri e femori potrebbe indicare un trasporto al di fuori della grotta delle porzioni anatomiche più ricche in carne.
L’industria litica rinvenuta nell’Unità stratigrafica 4 e correlate è composta di 1.853 manufatti. Le materie prime più utilizzate sono la selce della Maiolica e della Scaglia Rossa mentre in minore percentuale sono presenti le selci della Scaglia Variegata, del Livinallongo, della Formazione del Soverzene, della Formazione del Fonzaso e dei flysh ad orizzonti selciferi afferenti alle Prealpi Carniche e alle Prealpi Giulie. La mancanza di selce di buona qualità nei dintorni del sito e l’evidenza di un elevato grado di sfruttamento delle materie prime esogene, indica l’esistenza di un’ampia circolazione delle risorse litiche ed un buon controllo sulla loro gestione, dalle fasi di approvvigionamento fino all’utilizzo e all’abbandono dei prodotti finiti.
Nel complesso, diversi indici rilevano per l’industria un carattere fortemente specializzato. Le catene operative sono volte quasi essenzialmente alla produzione di lamelle che vengono estratte in più sequenze fino al completo esaurimento dei nuclei. Le schegge-supporto rafforzano l’ipotesi di un intenso sfruttamento delle risorse litiche, evidenziato indirettamente anche dall’utilizzo della percussione
bipolare per la scheggiatura di nuclei particolarmente ridotti. La quasi totale assenza di supporti lamellari di prima scelta rende atto di una selezione massiva di questi prodotti prevalentemente finalizzata alla confezione di armature. L’enorme sproporzione tra il numero delle armature e quello degli strumenti indica l’esistenza di un forte sbilanciamento funzionale in favore delle attività connesse alla caccia. Lo studio delle tracce d’uso sui manufatti litici ha confermato la distinzione funzionale nelle diverse tipologie dei manufatti ritoccati. Le usure sul fronte dei grattatoi ne ha confermato l’utilizzo per il trattamento della pelle fresca, suggerendo che le prime attività della concia si effettuassero all’interno del riparo. Alcuni grattatoi presentano anche tracce din immanicatura in supporti di materiale organico (legno o palco di cervo). I bulini presentano sbrecciature tipicamente riconducibili all’azione di raschiatura su materiali resistenti come l’osso o il palco di cervo. I coltelli a dorso, strumenti caratterizzati da un bordo tagliente opposto ad uno regolarizzato mediante ritocco
utile ad ottenere una migliore prensione, riportano invece tracce evidenti di macellazione della carne.
I risultati delle analisi archeozoologiche confermano che i cacciatori-raccoglitori Epigravettiani occuparono la Grotta del Clusantin tra la fine di Aprile e gli inizi di Ottobre. In questo periodo le marmotte, uscite dal letargo, aumentano progressivamente il loro peso e il contenuto in grasso da consumare poi nell’inverno. L’elevato numero di punte di freccia e grattatoi suggerisce quindi una attenzione particolare alla caccia alla marmotta non solo per il consumo della carne ma anche per il recupero della sua pelliccia.
L’insieme dei dati raccolti in ambito multidisciplinare dallo scavo della Grotta del Clusantin consentono di riportare alla luce le testimonianze di un accampamento stagionale, in un intervallo cronologico poco conosciuto nel panorama dell’Epigravettiano recente. Le uniche evidenze finora scoperte in Italia nordorientale si limitano infatti ai siti di Riparo Tagliente nei Monti Lessini e Riparo Villabruna nel Bellunese. L’indagine sulle attività dei gruppi che occuparono l’altopiano di Pradis a caccia di marmotte e stambecchi, ampliano invece lo
scenario sulla prima fase di ricolonizzazione dei versanti montani nel Friuli occcidentale.

La concomitanza tra divulgazione e ricerca sul campo è stata decisa fin dal 2005, quando lo scavo della Grotta del Clusantin, anche grazie alla suggestiva dolina antistante, venne concepito quale “laboratorio”, con visite guidate, attività di archeologia sperimentale e seminari a tema. Così sono state organizzate le “Giornate della preistoria”, un fortunato e coinvolgente appuntamento annuale che dal 2010 si svolge in concomitanza con il Laboratorio di ricerca archeologica alla Grotta del Rio Secco. All’interno del “paesaggio preistorico” dell’altopiano di Pradis, la grotta e la dolina del Clusantin divengono un teatro naturale dove riavviare gesti e riaccendere suoni scollegati per millenni dal filo della memoria.

Bibliografia:
– Peresani M. 2006 – Grotta del Clusantin (Altopiano di Pradis, Clauzetto), Rivista di Scienze Preistoriche 56: 609
– Peresani M. 2008. Marmotte e cacciatori del paleolitico a Pradis. Comune di Clauzetto, Università di Ferrara. 130 p.
Romandini, M., Peresani, M., Gurioli, F., Sala, B., 2012. Marmota marmota, the most common prey species at Grotta del Clusantin: Insights from an unusual casestudy in the Italian Alps. ICAZ International Conference of Archaeozoology, Session 4-3, Hominin Subsistence in the Old World during the Pleistocene and Early Holocene. Quaternary International, 252: 184-194.
Preistoria nelle Grotte – La Grotta di Clusantin, di Peresani Marco, Duches Rossella, Picin Andre, Romandini Matteto in “Archeologia e Storia nella pedemontana fra Meduna e Tagliamento”, a cura di Denis Anastasia e Paolo Dalla Bona, Gruppo Archeologico Archeo 2000

Autore: Nicola Nannini

Info:
Sito di proprietà del Comune di Clauzetto, ad uso parco.
Fg. 11 Mappale: 961 Altitudine (m.s.l.m.): 510
Foglio CTR: 048 – SE ;
Coordinate UTM WSG84: 33722E – 5123650N
L’area delle grotte e la forra sono adibite da tempo a ricezione turistica e luogo di culto.
Viabilità: Strada comunale Clauzetto – Pradis di Sotto. In località Gerchia, oltrepassato il Museo della Grotta, un sentiero in acciottolato a destra, porta alla dolina sottostante ed alla grotta.
Ubicazione dei materiali: Museo della Grotta di Pradis.
Url: http://www.grottepradis.it

Periodo Storico: Preistoria
Localizzazione Geografica
Visualizzazione delle schede relative a contesti archeologici visibili nell'arco di 5 km dalla località di partenza